Be a Revolutioner! Cosa OSO fare della mia vita? Questo è il titolo del secondo appuntamento dell’ evento Fashion Revolution Week. Questa giornata è stata un’occasione per presentare la rete sociale oso e tirare le somme della Fashion Revolution week. Questo compito è stato portato avanti da tutti i relatori e in particolar modo da Monica Cerri. Infatti, in qualità di fashion designer del marchio dressing piuma dell’associazione La terza Piuma, afferma che la fashion revolution nasce per denunciare la filiera dello sfruttamento del lavoratore. Inoltre Monica sostiene che la fashion revolution lavora su 2 fronti: chiedere ai governi delle nuove legislazioni e dall’altra sottolineare l’importanza di smettere di acquistare dalla rete del fast fashion e riciclare i capi.
Questo concetto del riuso viene quotidianamente messo in pratica anche da due figure che hanno partecipato all’ evento in veste di
relatori: Marco Maria Marzio e Barbara Marti. Il primo è il fondatore di Palingen ovvero una start up a vocazione sociale che ha preso in gestione la sartoria del carcere femminile di Pozzuoli. In questo laboratorio si cerca di dare dare una seconda vita e possibilità a tessuti, che sarebbero destinati allo scarto. Non da meno è il fatto che fa parte della rete sociale oso.
Barbara Marti è un’ educatrice, sarta e referente del laboratorio sartoriale Zito. Dalle sue parole si può comprendere che, per avviare questo progetto, è partita dal nulla, recuperando delle maglie di cotone e pezzettini di stoffa. L’idea quindi era di dare una seconda possibilità agli indumenti di scarto e trovare in loro la bellezza, una collocazione. Con queste premesse la sartoria diventa una start up includendo in questi 6 anni 10 donne.
Queste due esperienze dimostrano il fatto che è possibile coniugare l inclusività sociale con quella ambientale. Concorde a questo concetto è presente anche Lorena Pittà che porta la visione della Cooperativa Esserci, che è nata 35 anni fa in un quartiere industriale di Torino in cui era necessaria la coesione. Sempre di più la povertà e la marginalità hanno però reso evidente che il lavoro è terapeutico e riabilitativo.
Di questo ultimo aspetto ne è un esempio l’organizzazione umanitaria Intersos che lavora in 20 paesi nel mondo. In particolare, nella sartoria di Roma, lavorano donne che spesso sono sopravvissute a violenze di genere o sfruttamento sociale e lavorativo. Un traguardo fondamentale di questa organizzazione è che da intersos è nata Core ovvero un impresa sociale. Attraverso essa è stato possibile inserire delle donne che ,dopo un percorso di formazione all’interno dei laboratori, riescono ad essere inserite lavorativamente. Questo impegno è dimostrato dal fatto che è entrata a far parte della rete sociale oso.
Questi valori di inclusione, sostenibilità, riciclo e consapevolezza, che accomunano queste realtà, sono condivisi anche dalla rete sociale Oso. Il suo nome significa osare di mettere un capo che racconta una storia, credere a qualcosa di diverso, andare contro corrente. Stella Brambilla in qualità di referente delle reti sociali Oso sottolinea in particolar modo 2 aspetti: il primo è l’importanza di vestirsi per far emergere la propria identità e il secondo è la necessità di capire capire da dove provengono i nostri vestiti e chi li abbia fabbricati.
Marina Spadafora è il punto di riferimento della Fashion Revolution e dalle sue parole si può capire la finalità di questi eventi: “bisogna essere vocali”. Solo con il passaparola e facendo conoscere la causa a più persone si può diffondere la consapevolezza e iniziare la rivoluzione.